Nomadi digitali, remote workers, ma anche slomads o i più tradizionali expats: sono molti i lavoratori che stanno radicalmente cambiando le proprie abitudini di vita, dal tradizionale impiego in ufficio nella nazione di residenza verso forme di lavoro che consentono di viaggiare oppure implicano il trasferimento in altre nazioni.
Si tratta di una mobilità a volte spinta dal fascino di nuovi stili di vita, altre da opportunità di lavoro all’estero che, insieme all’emozione per la nuova avventura, porta con sé aspetti burocratici da considerare con attenzione: dall’ottenimento del permesso di soggiorno fino alla corretta gestione della dichiarazione dei redditi.
Per capire chi sono i protagonisti di questa nuova mobilità lavorativa e quali sono gli aspetti formali e fiscali da considerare, abbiamo realizzato questa guida per nomadi digitali e remote worker. Vengono descritti profili e considerate le agevolazioni e le novità normative sia per i lavoratori esteri interessati a trasferirsi in Italia (magari per godere del clima favorevole del sud della penisola), sia per gli italiani che stanno pensando di rimpatriare o che hanno intenzione di lavorare per qualche anno della propria vita all’estero.
Nomadi digitali, lavoratori in remoto, slomad ed expats: le differenze
Definire le categorie in un contesto lavorativo così fluido è sempre complesso, ma se vogliamo fare una distinzione, seppur semplificata, è possibile fare riferimento a Global Nomad. Quest’ultimo descrive il remote worker come una persona che ha dei periodi di permanenza piuttosto lunghi in una nazione e anzi, spesso, si trasferisce anche in modo permanente. Il nomade digitale, invece, si sposta più di frequente fermandosi in una nazione per poche settimane.
In particolare, secondo le statistiche di Nomad List, il 59% dei nomadi digitali si ferma in una nazione meno di 30 giorni, il 28% meno di 90 e solo il 14% soggiorna più di 3 mesi.
A queste due figure si aggiungono gli Slomad, che si spostano più lentamente dei tradizionali nomadi digitali, e gli expats, persone che si sono trasferite all’estero per motivi di lavoro e che, a differenza dei remote worker, sono vicini almeno ad una sede della propria azienda o a uno spazio di coworking.
Nomadi digitali e remote worker: chi sono e quali sfide devono affrontare
Le statistiche a livello globale hanno identificato l’inquadramento dei remote worker: il 53% è dipendente, il 43% è un freelance, mentre il 4% rimanente è un imprenditore con almeno un dipendente.
A livello generazionale, la maggior parte sono millennials (58%) e lavorano nell’IT (41%), o nel marketing (16%) (Buffer State of Remote Work, 2023).
Un’altra analisi sui nomadi digitali conferma che la maggior parte dei nomadi digitali sono dipendenti (52%) o collaboratori di aziende e presentano in media un alto livello di istruzione: il 42% ha una laurea e il 31% un master o un dottorato.
Le problematiche che questo tipo di viaggiatori deve affrontare sono: trovare casa (39.8%), trovare amici (23,3%), gestire le tasse (18,5%), gestire la situazione sanitaria (8,8%) e gestire il permesso di soggiorno (4,9%).
La gestione delle tasse è particolarmente complessa, anche se quasi due terzi (66,1%) continua a pagarle nella propria nazione di origine (Flatio Digital nomad report 2023).
Permesso di soggiorno e tassazione sono quindi due aspetti fondamentali da valutare quando un lavoratore si trova a valutare un’opportunità di carriera che implica mobilità oppure è spinto alla vita da nomade digitale. Vediamo subito quali sono gli aspetti da considerare sia per gli italiani che vogliono viaggiare o trasferirsi all’estero sia per gli stranieri che guardano all’Italia come a una possibile meta.
Dove vivere da nomade digitale: dalla connessione internet alla durata del visto
Gli aspetti da considerare quando si sceglie di vivere per un periodo di tempo più o meno lungo in un’altra nazione sono tanti, ma tra questi sono sicuramente fondamentali la durata del visto, il permesso di soggiorno e la tassazione.
In molte nazioni sono inoltre presenti incentivi che agevolano la permanenza anche a scopi di lavoro.
Secondo Nomad List le principali nazioni di destinazione sono: gli Stati Uniti (15%), seguiti da Spagna e Thailandia (5%), Inghilterra, Germania e Messico (4%), Francia, Italia e Portogallo (3%) e Indonesia (2%).
Se guardiamo invece l’attrattività in termini di tassazione, la Global Nomad Guide tra le nazioni europee ha identificato come particolarmente favorevoli Andorra, Bulgaria, Gibilterra, Lussemburgo e Portogallo.
Sono però molte le variabili che guidano la scelta, per questo sempre la Global Nomad Guide ha creato un tool con il quale scegliere gli elementi di interesse (dalla durata del visto fino al costo della vita e la velocità di connessione internet).
Ad esempio, per chi è interessato a soggiorni di lungo periodo, le destinazioni migliori sono Antigua e il Portogallo, che concedono il visto fino a 2 anni, mentre per chi ha come priorità la velocità di connessione internet, le mete più adatte sono Malta ed Estonia.
Ultimo ma non ultimo è importante essere sempre aggiornati sulle ultime novità in termini di incentivi.
Ad esempio, il Primo ministro del Portogallo ha deciso che dal gennaio 2024 saranno sospese le agevolazioni per pensionati e nomadi digitali le cui aliquote fisse del 10% e del 20% l’avevano resa una meta particolarmente attrattiva. Il governo portoghese non aveva valutato gli effetti di queste misure nel medio-lungo termine: infatti negli ultimi anni in cui erano in vigore questi incentivi è aumentata la domanda di alloggi, che sono cresciuti del 78% rispetto alla media europea del 35%.
Gli aspetti fiscali da considerare quando un italiano si trasferisce all’estero
Dopo aver scelto la meta che risponde meglio alle proprie esigenze ed essersi trasferiti, gli italiani non possono semplicemente dimenticarsi della fiscalità italiana. Al contrario, è necessario considerare innanzitutto che, se non si fanno esplicite variazioni, la residenza fiscale rimane in Italia, quindi è necessario fare la dichiarazione dei redditi nel nostro paese; inoltre è importante valutare come gestire gli eventuali redditi percepiti all’estero.
Le modalità con cui gli stati gestiscono la tassazione del reddito varia molto a livello globale, ma per quanto riguarda la maggior parte delle nazioni europee e nello specifico l’Italia, se si ha residenza fiscale nel territorio, guadagni e redditi vengono tassati come qualunque cittadino italiano, indipendentemente dal fatto che temporaneamente si svolga un lavoro all’estero. Parallelamente però il paese estero in cui si lavora potrebbe tassare il reddito o il guadagno percepito, determinando un evidente problema di doppia imposizione del reddito. In altri casi ancora c’è addirittura la possibilità che differenti normative portino un lavoratore ad avere la doppia residenza fiscale.
Districarsi in questa matassa non è semplice, perché intercorrono diverse variabili che rendono la situazione tanto più complessa tanto più il lavoratore si sposta con frequenza.
Nello specifico caso dell’Italia, per non essere soggetti alla tassazione italiana, i cittadini devono iscriversi all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (AIRE) e avere domicilio e residenza all’estero per un periodo di almeno 183 giorni l’anno (184 nei bisestili). Se il nomade digitale non è in grado di identificare una residenza all’estero stabile, la sua residenza fiscale effettiva rimarrà in Italia, anche con presenza di iscrizione AIRE.
Quindi il nomade digitale che, per sua natura, soggiorna in nazioni diverse durante l’anno, può trovarsi in difficoltà a identificare una residenza all’estero e quindi dovrà fare la dichiarazione dei redditi in Italia e capire come gestire le fatture estere emesse o ricevute. Problema che si può ulteriormente complicare per le persone che vivono una vita mobile nel senso più proprio del termine e che scelgono di vivere e viaggiare in un van: sicuramente un tema da considerare dato l’aumento dei vanlifer, che nel 2022 sono cresciuti del 19% raggiungendo negli USA i 3,1 milioni.
Rientro dei cervelli: agevolazioni fiscale per 5 anni per cittadini italiani
Dopo aver condotto per qualche anno la vita da nomade digitale in giro per il mondo, può capitare di voler tornare in Italia.
In questo caso è possibile sfruttare alcuni sgravi fiscali, facendo però attenzione alle recentissime novità previste nel decreto legislativo sulla riforma fiscale in materia di fiscalità internazionale. Grazie al decreto Impatriati del 2015 o al decreto Crescita del 2019 i “lavoratori impatriati” e “docenti e ricercatori” che non risiedono in Italia da almeno 2 anni e decidono di rientrare (da qui il nome “Rientro dei Cervelli”) possono beneficiare di agevolazioni fiscali con conseguente riduzione del 70% (in alcuni casi anche del 90%) del proprio reddito imponibile per almeno 5 anni.
Decisamente un gran bell’incentivo a tornare nel “Bel Paese”, che sembra però andare verso un deciso ridimensionamento. Infatti, è in via di approvazione una riformulazione dell’agevolazione che consiste nell’abbattimento del 50% dell’imponibile fiscale (non più 70%) valido solo per lavoratori con requisiti di elevata qualificazione o specializzazione (non per tutti quindi).
Resterebbero invece invariati gli incentivi fiscali per i “docenti e ricercatori” che rientrano a lavorare in Italia, per i quali continuano a trovare applicazione le vecchie regole.
Tutti i dettagli sono disponibili sul sito dell’Agenzia delle entrate per quanto riguarda i lavoratori rimpatriati e i docenti e ricercatori rientrati in Italia.
Nomade digitale: permesso di soggiorno in Italia semplificato per 1 anno
Oltre agli incentivi per i cervelli in fuga per tornare in Italia, il governo ha sviluppato una politica di promozione per attrarre talenti rivolta sia a imprenditori sia a liberi professionisti. All’interno del programma di sostegno alle startup innovative, nel 2014 è stato lanciato il progetto Italian Startup Visa con incentivi per gli imprenditori innovativi extraeuropei. Più recentemente, a marzo 2022, con il Decreto Sostegni-ter è stata introdotta nella normativa italiana la figura del “nomade digitale”.
A livello normativo con questo termine in Italia si intendono persone che lavorano come dipendenti per un’azienda con sede al di fuori dello Stato italiano o liberi professionisti con un’attività lavorativa altamente qualificata, che utilizzano strumenti tecnologici per lavorare da remoto.
Grazie a questa novità normativa, cittadini che provengono da Paesi extra UE possono ottenere un permesso di soggiorno semplificato fino a un anno, senza necessità di un nulla osta per lavoro e con il solo visto.
Il lavoratore, nel periodo di permanenza in Italia, dovrà però da un lato avere un’assicurazione sanitaria, dall’altro dovrà rispettare la normativa fiscale e contributiva italiana.
In relazioni a questi aspetti, dal Secondo rapporto sul nomadismo digitale emerge il 30% dei remote worker e nomadi digitali che vorrebbe trasferirsi temporaneamente nel nostro Paese desidera trovare convenzioni con professionisti e consulenti locali esperti in materie legali, fiscali, assicurative, amministrative e facilitazioni per l’ottenimento del Visto.
Nomadi Digitali, Remote Workers e Slownomad: conviene?
Abbiamo visto insieme quanto è importante la gestione fiscale per queste nuove figure.
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